Incontrare i ragazzi e portare l’esperienza di vita, le scoperte e la crescita personale che ci sono state, mi permette sempre di fare riflessioni profonde.
Un puntino in mezzo a tanti ragazzi e tante persone che cercano il loro spazio nel mondo per potersi esprimere.
Gli incontri sono tempo prezioso che diventa tesoro, per le scuole sono progetti, per i ragazzi a volte sono semplici banali incontri, ma lasciano sempre nel cuore qualcosa che trova spazio nel tempo e nello spazio della vita stessa.
Le scelte da fare, l’espressione piena di sè, occhi che cercano un punto di incontro anche se timorosi di essere visti, la curiosità di scoprire è più ampia di qualsiasi altra sensazione.
Tante domande, tanta curiosità, tanta sorpresa, ma una domanda è emersa con più forza: come fai a vivere in una società come quella che c’è ora?
La risposta la lascio come tesoro consegnato ai ragazzi per i prossimi che incontrerò.
L’inclusività non si conclude con un’ora di chiacchiere, e di domande, non avrà mai una conclusione, finchè ci sarà ancora la parola normale e le varie parole che definiscono una persona per la propria disabilità-disarmonia-malattia rara-condizione fisica.
Nel corso della mia scoperta personale, e della mia crescita ho potuto farmi la domanda: cosa è normale e cosa è diverso? Quali e quante definizioni abbiamo dato a queste parole, quanta importanza diamo a queste parole rimanda la “necessità” di fare incontri di inclusione dove ancora ci si scontra con chi la pensa in maniera diversa e nell’inclusione esclude eventuali “soggetti deboli”.
Con il cuore grato per la meraviglia con cui sono stata accolta, e mi è stato permesso di dare voce a quella voce che ha ancora molto da scoprire da far scoprire.
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